Amore e diritto: un binomio impossibile in Italia?

Certi dogmi sembrano destinati a lunga vita. Libertà ed uguaglianza sono delle realtà per tutti o nella società permangono ancora tacite discriminazioni? Professare ideali di libertà ed uguaglianza senza adoperarsi nella creazione delle condizioni che li rendano possibili, risulta essere una palese contraddizione. La manifestazione che si svolgerà in numerosissime piazze d’Italia il prossimo 23 Gennaio, in vista della successiva discussione in Senato del disegno di legge n. 2081 sulle Unioni Civili proposto dalla senatrice del PD Monica Cirinnà, vedrà unirsi tutti coloro i quali si battono per la parità, l’uguaglianza e la fine delle discriminazioni istituzionali basate sull’orientamento sessuale. Esemplificativa è la tesi che anima il libro “Diritto d’Amore” di Stefano Rodotà (Laterza, 2015), il quale pone in primo piano la relazione tra il diritto e l’amore e l’evoluzione che, nel tempo, ha legato queste due sfere così diverse.

Rodotà rende noto quanto l’accettazione dell’amore in tutte le sue forme abbia trovato ostacoli di varia natura. Quali vincoli impediscono l’apertura verso la pacifica accettazione di rapporti d’amore che deviano da un abusato concetto di norma? Si tratta di vincoli giuridici o, forse, della stagnazione di stantii dogmi ritenuti inviolabili? Pilastro imperante, ed identificativo, è il famigerato paradigma della “naturalità del matrimonio eterosessuale”. Rodotà ammette che “siamo di fronte non solo ad un vincolo riguardante l’utilizzabilità dell’istituto matrimoniale, ma ad una di quelle radicali contrapposizioni del diritto all’amore, alla sostanziale negazione della libera costruzione della personalità”.  Il categorico irrigidimento su tale paradigma delinea una situazione nella quale “la negazione del diritto d’amore e la sottoposizione a vincoli obbliganti mostrano una persona alla quale vengono negate, insieme, libertà e dignità”. Viene posta in essere non solo una discriminazione, ma anche un’incostituzionalità di fondo poiché si “oppone resistenza non […] ad un’innaturale pretesa, ma al diritto individuale alla propria identità personale”. Primo passo fondamentale sarebbe quello di allinearsi al progresso registrato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, nel suo articolo 9, distingue il diritto di sposarsi da quello di costituire una famiglia; negando l’esplicito riferimento alla diversità di sesso dei coniugi delineato dall’articolo 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (1950), ed aprendo, di fatto, la strada ad altri tipi di unione matrimoniale. Alla luce di queste considerazioni si comprende l’urgenza di una modifica dell’articolo 29 della Costituzione nel quale nessun riferimento è stato fatto a tipologie di unioni diverse da quella eterosessuale. Ai tempi della Costituente un forte stigma sociale accompagnava la tematica dell’omosessualità, ma nel mutato contesto odierno esso non può più trovare applicazione. La modifica dell’articolo 29 porrebbe fine ad una grave illegittimità giuridica in quanto “l’ampliamento dei soggetti che possono accedere al matrimonio non significa che ad alcuni viene attribuito un diritto nuovo, ma più propriamente che viene rimosso un divieto che impediva a determinate categorie di persone l’esercizio di un diritto già riconosciuto ad altre.” Un altro nodo fondamentale riguarda i diritti inviolabili garantiti alle “formazioni sociali” riconosciute dall’articolo 2 della Costituzione. Il riconoscimento delle coppie di persone dello stesso sesso tra le formazioni sociali stride con la mancanza di una specifica legislazione in merito. A stupire è soprattutto un’inaccettabile mancanza di comprensione verso quanti chiedono, semplicemente, di equiparare la propria condizione sociale a quella di tutti gli altri; manifestando la ferma volontà di non cedere di fronte alle illegittimità, nemiche di ogni legittimo diritto.

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