Speciale Cirinnà. Ritrovare civiltà. Perchè questa legge s'ha da fare

«Il padre rientra. Leo capisce che deve andarsene. Thomas è restituito, nel momento finale, alla famiglia, alle stesse persone che l'hanno fatto nascere e che ora, con il cuore devastato dalla sofferenza, stanno cercando di aiutarlo a morire. Non c'è posto per lui in questa ricomposizione parentale. Lui non ha sposato Thomas, non ha figli con lui, nessuno dei due porta per l'anagrafe il nome dell'altro e non c'è un solo registro canonico sulla faccia della terra su cui siano vergate le firme dei testimoni della loro unione».

Questo passo dal romanzo Camere Separate (1989) di Pier Vittorio Tondelli è stato letto dallo storico attivista Vanni Piccolo durante la manifestazione #SvegliaItalia a Napoli lo scorso 21 gennaio, e ben rappresenta lo stato di discriminazione che vivono tutti i giorni in Italia centinaia di migliaia di persone a causa del mancato riconoscimento delle famiglie composte da persone dello stesso sesso.

 

Ultima in Europa insieme a Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia con la legge Cirinnà l’Italia uscirebbe dal “blocco sovietico”, come è definito l’insieme dei paesi sui diritti civili più vicini alla Russia, sul fondo del Rainbow Index di Ilga, che agli Sati Uniti, ove dopo la sentenza della Corte Suprema del 26 giugno 2015 non vi è più distinzione di orientamento sessuale nell’accesso al matrimonio.

La famiglia è stata nell’agenda politica fino agli anni '70. In quella decade venne istituito il divorzio (1970), modificato il diritto di famiglia (1975), approvata la legge che regola l'aborto (1978), istituiti i consultori familiari, promulgata la legge sulle pari opportunità, liberata la vendita di contraccettivi, costituiti i Centri antiviolenza e le Case delle donne, per accogliere le donne maltrattate. Solo oggi si torna a parlare di unioni familiari, ed a gennaio del 2016, a trent’anni esatti dalla prima proposta di legge presentata da Ersilia Salvato seguita da una cinquantina di ddl nemmeno fatti approdare alla discussione, a nove dal fallimento, nel 2007, di PACS, Dico, Didore e Cus, l’Italia si appresta a discutere il Disegno di legge S. 2081, “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, con prima firmataria la senatrice PD Monica Cirinnà, laureata in giurisprudenza, 53 anni a febbraio, sposata con due figli e una lunga esperienza da consigliera nell’amministrazione capitolina.

La legge Cirinnà, rispetto al “matrimonio egualitario” e alle altre forme di unioni civili vigenti in Europa, rappresenta per il movimento lgbt - che dal 2007 chiede solo il matrimonio - una mediazione al ribasso. Il testo del disegno di legge, già ampiamente emendato dall’autrice, andrebbe approvato così come ridotto rispetto alla stesura originaria, più vicina alla giurisprudenza matrimoniale. La legge istituisce un registro delle unioni civili per coppie etero ed  omosessali, con gli stessi diritti e doveri del matrimonio compresa la possibilità di divorzio e non prevede altre possibilità di adozione oltre il figlio del partner (annoverate in vari modi nelle leggi per le unioni civili in tutta l'Europa occidentale, Austria, Islanda, Malta e paesi scandinavi compresi), così come regolata dall'articolo 5, che è la parte del testo dedicato alla “stepchild adoption” (in italiano “estensione della responsabilità genitoriale sul figlio del partner”), che per le coppie eterosessuali esiste dal 1983.

Anche se il ddl prevede che debba essere il tribunale dei minori a decidere caso per caso se avere due genitori sia più conveniente per il bambino, l'articolo 5 rappresenta uno dei punti di maggiore contesa con l’area cattolica, che ha presentato innumerevoli emendamenti volti in breve a tenere la definizione della coppia same sex che entrerà per la prima volta nell’ordinamento italiano, come generica “unione” o “formazione sociale” e non come “famiglia” che rimandi all’art. 29 della Costituzione ed ai diritti che ne derivano. La Corte costituzionale italiana con la sentenza n.138 del 15 aprile 2010 ha riconosciuto in modo fermo e non equivocabile alle persone dello stesso sesso il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia da tutelare.

Il ddl Cirinnà non dice nulla riguardo “gestazione per altri” (o GPA, che i cattodem, rilevando una fantomatica deriva mercantile, chiamano spregiativamente "utero in affitto") o  “fecondazione eterologa”,  lasciati alla legge 40 del 2004, mostro legislativo più volte posto all'attenzione della giustizia costituzionale e che, tra i tanti divieti, già discrimina esplicitamente le coppie omosessuali nel ricorso a tutte le pratiche di fecondazione medicalmente assistita. Forse per una distrazione che i cattolici estensori non si perdonano, la legge 40 non contempla sanzioni contro chi si reca all'estero, ed Angelino Alfano, segretario del partito estremista cattolico NCD e ministro dell’Interno del governo Renzi, intervenendo impropriamente sul ddl Cirinnà, vorrebbe rendere questa pratica “crimine contro l’umanità” al pari del turismo sessuale minorile. Contro i viaggi delle coppie same sex all'estero il senatore PD Giampiero Dalla Zuanna ha poi recentemente proposto la reclusione carceraria per omosessuali in un emendamento all'articolo 5 del ddl Cirinnà, replicando di fatto il comma 6 dell'articolo 12 della L. 40/2004, che già prevede sanzioni per le coppie eterosessuali ed a cui Micaela Campana, presidente della bicamerale democratica ha rimandato l'eventuale discussione.

Per dirla con Stefano Rodotà (2015), sono queste ultime, «Tracce di quella politica del disgusto che continua a ritenere inaccettabili i diritti dell'amore. Una politica che si nutre di pregiudizi, sorda ai richiami dell'Europa, ostacola l'abbandono delle discriminazioni e nega alle persone diritti fondamentali, come l'accesso paritario di tutte le coppie al matrimonio». La legge Cirinnà sarebbe un primo passo per recuperare terreno nel campo della civiltà e dell'umanità, su cui l'Italia pare da tanti anni smarrita.

Il passo di Camere Separate, la drammatica autobiografia scritta 27 anni fa dal compianto scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli continua così:

«Eppure [Leo e Thomas] per oltre tre anni si sono amati con passione, hanno vissuto insieme a Parigi, a Milano, in giro per l'Europa. Hanno scritto insieme, hanno suonato, hanno ballato. Si sono azzuffati, si sono strapazzati, anche odiati. Si sono amati. Ma è come se improvvisamente, accanto a quel letto d'agonia, Leo si rendesse conto di aver vissuto non una grande storia d'amore, ma una piccola avventura di collegio. Come se gli dicessero vi siete divertiti e questo va bene. Ma qui stiamo combattendo per la vita. Qui la vita è in gioco. E noi, un padre, una madre, un figlio siamo le figure reali della vita. Leo sente allora l'interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire. Come se avesse sempre vissuto in una zona separata della società. Come se il suo star male al mondo, o il suo essere felice, il suo vagabondare, tutto si fosse svolto su un palcoscenico. Ora finiva la rappresentazione. I padri e le madri, la chiesa, lo stato, gli uffici d'anagrafe ristabilivano il loro possesso. Riordinavano, seppellivano, consegnavano tutto alla polvere azzerante degli archivi. Tutto meno l'insignificante dolore di un ragazzo estraneo».