La nuova Londra di Sadiq Khan e la speranza di un’Europa aperta

Il 6 maggio 2016 Londra ha scelto il suo nuovo sindaco, è Sadiq Khan, avvocato di origini pakistane da sempre attivo per i diritti umani e impegnato in battaglie di vario tipo tra cui quella contro le violenze della polizia, le discriminazioni sul lavoro e per i diritti dei carcerati. Il suo sogno da bambino era diventare medico ma su suggerimento di un insegnante, da sempre affascinato dalle sua capacità comunicative, ha intrapreso gli studi in legge. Nel corso degli anni la politica è diventata la sua passione ed è così cominciata una carriera che lo ha visto prima consigliere comunale in uno dei borghi che costituiscono Londra, poi membro del Parlamento inglese per due legislature all’interno del partito Laburista ed ora sindaco di una delle più importanti capitali europee e mondiali.

I traguardi della sua carriera politica sono strabilianti se si considerano le umili origini, il padre era autista di autobus e la madre faceva la sarta, ma Khan resta innanzitutto un guerriero dei diritti umani. Nel 2013, nonostante le minacce di morte ricevute e l’essere stato oggetto di una fatwa da parte di un imam di Bradford, ha votato a favore della legge sui matrimoni gay che è entrata poi definitivamente in vigore nel luglio 2014 dopo il royal assent della Regina Elisabetta II. La legge inglese è tutt’altra cosa rispetto al nostro combattutissimo e tanto atteso ex DDL Cirinnà diventato legge da meno di un mese: ad eccezione delle chiese cattolica e anglicana che non ammettono i matrimoni tra persone dello stesso sesso, prevede che le altre istituzioni religiose del paese abbiano la possibilità di scegliere se celebrare o meno nozze egualitarie.

Come la nostra legge, quella inglese prevede l’estensione dei diritti e dei doveri civili che derivano dall’unione ma in aggiunta consente alle coppie LGBT di adottare. Dopo l’entrata in vigore di questo provvedimento, l’Inghilterra diventa il decimo paese europeo e il quindicesimo al mondo ad approvare le unioni LGBT. In un panorama europeo, d’oltreoceano e mondiale in cui la paura del diverso si fa sempre più incalzante attanagliando sempre più le persone e che spesso prende forma come islamofobia e razzismo, Londra ha dato il suo segnale, forte e chiaro. Mentre dall’altro lato dell’Atlantico il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump tuona che tutti gli immigrati sono pericolosi e che devono essere respinti e in Italia ben conosciamo i pensieri delle cravatte verdi e dei loro affiliati, i londinesi hanno scelto come loro sindaco un uomo di origini pakistane, immigrato di seconda generazione e praticante fede musulmana che si è schierato a favore della lotta contro le discriminazioni, a partire dalle disuguaglianze economiche, fino ai diritti LGBT e alla condanna del terrorismo. L’elezione di Khan rispecchia l’anima aperta e cosmopolita di Londra che ogni anno accoglie persone provenienti da ogni parte del mondo attirate dalle innumerevoli opportunità che la capitale offre, lo stesso neo sindaco ammette che Londra gli ha dato la possibilità di passare da una casa di edilizia popolare all’ufficio di primo cittadino. La forza della sua campagna elettorale sta proprio nell’aver battuto sulle sue molteplici identità, infatti Khan si è sempre definito britannico, pakistano, londinese, asiatico, europeo, musulmano, padre e marito.

Il fatto che la democrazia londinese abbia eletto a suo sindaco un musulmano ci faccia riflettere e ci faccia aprire la mente, che, diceva Einstein, «è come un ombrello, funziona solo se aperta». La rigidità della religione islamica e le minacce non hanno impedito a Khan di agire secondo coscienza nel rispetto della causa dei diritti umani, per cui sarebbe lesivo inserire questa figura nell’amalgama di pregiudizi che, a causa dei recenti accadimenti, porta a dipingere tutti i musulmani come terroristi. E sarebbe altrettanto lesivo far lo stesso con i numerosi cittadini del mondo professanti fede musulmana che nulla hanno a che fare con la follia dell’islam radicale. Durante la campagna elettorale rivolgendosi agli elettori, Khan ha spesso sostenuto che non bisogna provare paura ma nutrire speranza, l’auspicio è proprio quello che già secoli addietro aveva pronunciato Seneca: “Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli la speranza”. 

Capita a volte che la speranza da sola non basti; in molti hanno sperato fino all’ultimo sull’esito negativo del referendum Brexit, ma nelle prime ore di venerdì 24 giugno il mondo ha appreso che il 52% dei cittadini aveva votato per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Un risultato questo che di fatto ha spaccato a metà un paese e l’Europa intera. Lascio agli esperti il gravoso compito di tentare di quantificare le conseguenze economiche di quest’uscita per dedicarmi ad una considerazione. Tutti conosciamo il detto “l’unione fa la forza”, ma sembra che non tutti siano convinti fino in fondo delle capacità e della forza che ha un gruppo coeso e unanime sugli obiettivi da raggiungere. La lotta al terrorismo e a qualsiasi forma di discriminazione ha bisogno di unione e dell’Unione. Sembra che la classe politica inglese non abbia considerato questa sfaccettatura quando è stato proposto il referendum Brexit che si è rivelato una vera e propria bomba che ha destabilizzato la vita di milioni di persone e che di fatto ha aperto la strada ad altre iniziative di questo genere in altri paesi membri. Il neo sindaco londinese Sadiq Khan ha però tentato di rassicurare quanti si sono sentiti mancare il terreno sotto i piedi in seguito all’esito referendario in un messaggio pubblicato sui social network: "Voglio mandare un messaggio molto chiaro a tutti i cittadini europei che vivono a Londra: siete più che benvenuti qui. Come città, siamo grati per il vostro enorme contributo, e questo non cambierà dopo il risultato di questo referendum. Oggi sono quasi un milione i cittadini europei che vivono a Londra, e portano enormi benefici alla nostra città - lavorando duramente, pagando le tasse, lavorando nei nostri servizi pubblici e contribuendo alla nostra vita civica e culturale. Ora tutti noi abbiamo una responsabilità nel cercare di sanare le divisioni che sono emerse durante questa campagna - e focalizzarci su ciò che ci unisce, piuttosto che su ciò che divide".