Omosessualità e Islam nel 2016

Lo scorso luglio l’Osservatorio LGBT ha dedicato un articolo al nuovo sindaco di Londra Sadiq Khan, avvocato di origini pakistane che ha ricoperto ruoli di primo piano all’interno della politica inglese. La sua carriera di membro del partito laburista, costellata di battaglie per i diritti umani, lo ha portato ad essere eletto in Parlamento dove nel 2013 è anche stato chiamato a votare sulla legge che consente e disciplina i matrimoni gay. Khan si è dichiarato più volte musulmano praticante ma nonostante ciò - e le minacce di morte ricevute - il suo voto è stato a favore. Sadiq Khan sembra essere l’altra faccia della medaglia di una religione il cui testo sacro, il Corano, condanna l’omosessualità come “atto osceno” o “anormale”[i].

Prima di proseguire nella nostra indagine è necessario sottolineare che la Sharia, ossia la legge islamica fondata sul Corano, non condanna il comportamento omosessuale quanto piuttosto l’atto omosessuale che si consuma tra due persone dello stesso sesso[ii] e che il testo sacro indica con il termine “liwat”, “sodomia”. Su questa tematica molti sono coloro che hanno levato la loro voce anche in maniera contrastante al punto da far immaginare un continuum lungo il quale si pongono azioni e dichiarazioni di diversi esponenti del mondo islamico.

L’Ayatollah iraniano Abodollah Javadi-Amoli, nell’aprile del 2015 ha dichiarato che gli omosessuali sono “inferiori a cani e maiali” perché questi animali non commettono atti di sodomia[iii]. Al 2014 risale una fatwa pubblicata su OnIslam.net in cui si sostiene che l’omosessualità è anormale e ripugnante e che i gay dovrebbero essere uccisi; nel corso di quest’anno un Imam invitato a parlare in una moschea in Florida ha asserito che uccidere i gay è un “atto di compassione”. Alcuni musulmani si dichiarano critici rispetto le sanzioni previste contro l’omosessualità perché secondo alcune scuole legali, come quella hanafita, esse sarebbero ingiustificate in quanto il Corano non specifica l’applicazione della pena capitale per gli atti omosessuali. Se da un lato abbiamo la totale condanna, non mancano storie di vita normale, che si registrano soprattutto in territorio non arabo, è il caso dell’Imam Ludovic-Mohamed Zahed che si è dichiarato gay, nel 2011 ha sposato il suo compagno e nel 2012 ha aperto a Parigi la prima “moschea inclusiva” in cui vengono celebrati matrimoni tra musulmani dello stesso sesso[iv].

Anche nella dimensione giuridica il trattamento dell’omosessualità non è univoco. I musulmani vengono differenziati principalmente tra sciiti e sunniti, questi ultimi costituiscono tra l’87 e il 90% del numero complessivo dei devoti e rifiutano di riconoscere la pretesa degli sciiti che la guida della comunità islamica debba essere riservata alla discendenza del profeta Maometto. L’Islam è caratterizzato dal pluralismo di scuole giuridiche e da numerose diverse interpretazioni di una stessa fattispecie giuridica, per cui non sorprende che anche l’omosessualità sia trattata in vario modo. All’interno dell’Islam sunnita esistono quattro scuole legali: hanafita, malikita, sciafeita e hanbalita, tutte riconoscono che i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso violino la Sharia, ma le pene previste sono varie. Delle quattro, la prima è la più tollerante in quanto non considera i rapporti omosessuali come adulterio ma lascia al giudice un certo grado di discrezionalità circa la pena da applicare. L’Imam Shāfiʿī e la scuola shafeita distinguono due tipi di pena: condanna a morte attraverso lapidazione se la persona colpevole di atti omosessuali è sposata, se invece la persona colpevole è celibe la pena consiste in un certo numero di frustate. La scuola malikita invece non opera tale distinzione e a prescindere dallo stato civile della persona, la pena prevista in caso di atto omosessuale è la stessa riservata agli adulteri. Stessa pena è prevista anche dalla scuola giafarita, l’Āyatollāh iracheno Sayyid al-Khuʿī sostiene che qualsiasi persona colpevole di atti omosessuali deve essere punita come un adultero. [v]

Condizione diversa è quella vissuta dalle donne, come accade nel mondo occidentale anche il mondo islamico lascia l’omosessualità femminile in secondo piano. Essa non è condannata esplicitamente in quanto considerata meno grave di quella maschile, infatti Serena Tolino, esperta in studi di genere, sessualità e Islam spiega che «un rapporto sessuale, anche se considerato contro natura perché non eterosessuale, può ancora essere tollerato finché non entra in gioco la penetrazione, simbolo assoluto del dominio del maschile sul femminile. Ovvero finché non vengono messe in discussione le strutture di potere.» Tuttavia le eccezioni non mancano, ad esempio l’articolo 230 del codice penale tunisino - che le associazioni lgbt locali vorrebbero riformare - prevede una pena massima di tre anni di reclusione sia per l’atto omosessuale maschile che per quello femminile.

Geograficamente ogni scuola è maggiormente radicata in alcuni territori anziché altri: nel nord Africa domina la scuola malikita, ad eccezione dell’Egitto che è diviso tra le scuole malikita, hanafita e shafeita. Gli stati del corno d’Africa e quelli più a sud che si affacciano sull’Oceano Indiano seguono la scuola shafeita così come lo Yemen e alcune aree del sud est asiatico. Nel Medio Oriente invece la scuola dominante è la hanafita. Esistono però alcuni paesi a maggioranza musulmana come Egitto, Turchia e Giordania in cui la legislazione non è chiara; in un’intervista riportata dal sito internet Osservatorio Iraq Medio Oriente e Nord Africa[vi], Serena Tolino riferisce che «l’omosessualità non è ufficialmente punita in Egitto», dove si applica un diritto di derivazione francese che non prevede norme contro omosessualità e sodomia. Tuttavia essa viene criminalizzata indirettamente attraverso la legge 10 del 1961 che ha come oggetto lo sfruttamento della prostituzione; nel 1988 la Corte di cassazione egiziana ha stabilito che con “prostituzione maschile abituale” ci si riferisce “ad un uomo che cede il suo onore ad un altro uomo”. In questo modo tra il 2001 e il 2005, questo articolo è stato applicato per punire gli omosessuali di sesso maschile o comunque uomini che avevano rapporti sessuali consensuali con persone dello stesso sesso.  Anche in Giordania non esiste una legge che vieti l’omosessualità ma i valori tradizionali della società fanno si che le relazioni tra gay non siano ben accette e un recente cambiamento nel codice penale del paese prevede che gli imputati accusati di atti omosessuali possano essere puniti con un massimo di cento frustate. Tuttavia una speranza viene dalle recenti dichiarazioni del principe Hashim bin Hussein, il figlio più giovane del re Hussein e della regina Noor, che ha detto di “pregare ogni giorno” affinché la società smetta di “crocifiggere” le persone LGBT[vii].

Secondo le statistiche dell’ILGA[viii] (International lesbian, gay, bisexual trans and intersex association), i cosiddetti “atti illegali di omosessualità” sono puniti con la pena di morte in cinque paesi del mondo: Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Sudan, Yemen e alcune zone di Nigeria e Somalia. Il rapporto annuale di Amnesty International riporta che durante il 2015 in questi stati se ne sono registrate: 5 in Mauritania, in Sudan 3 e più di 18 condanne, più di 8 nello Yemen, più di 158 in Arabia Saudita, 326 in Pakistan, ma il numero più alto si è registrato in Iran dove sono state eseguite più di 977 condanne a morte. L’articolo 308 del codice penale del 1984 applicato in Mauritania stabilisce che “ogni musulmano adulto che commetta atti indecenti o contro natura con un individuo dello stesso sesso, subirà la pena di morte attraverso pubblica lapidazione”. In altri 55 paesi, di cui 27 solo in Africa, l’atto omosessuale è punito con pene che variano fino ad un massimo di 14 anni di reclusione in stati come Angola, Kenya e Marocco; in Zambia, Malesia e Pakistan si rischia persino l’ergastolo.

Il nuovo rapporto annuale dell’UNHCR Global Trends[ix] riporta che alla fine del 2015 si sono contati 65.3 milioni di migranti. Nel rapporto 2015/2016 di Amnesty International[x]si legge che tra le tante persone che quest’anno si sono dovute mettere in viaggio verso l’Europa per fuggire dai continui conflitti e dalle inumane condizioni di vita, molte scappano anche dalle legislazioni oppressive ed omofobe dei loro paesi d’origine. La loro speranza è iniziare una nuova vita ma anche quando la sorte e il mare sono clementi, nuovi problemi sorgono al momento dell’arrivo in Europa. Nella sezione dedicata all’asilo politico del sito internet dell’ILGA[xi] si legge che molte delle persone che richiedono lo status di rifugiato politico a causa delle persecuzioni perpetrate nei loro paesi, incontrano non poche difficoltà che vanno a sommarsi alla già difficile condizione in cui queste persone arrivano nel vecchio continente. Le difficoltà variano a seconda dei paesi europei dove spesso è la stessa legislazione nazionale a costituire un ostacolo, ma ulteriori problemi derivano dalla scarsa esperienza e professionalità delle autorità nel trattare simili casi. Emblematico è il caso di O.M., cittadino iraniano che aveva presentato domanda di asilo in Ungheria, dopo essere arrivato in Europa passando dalla Serbia. Nonostante la sua richiesta di asilo fosse motivata dal suo essere omosessuale e dal fatto che un eventuale ritorno in Iran avrebbe costituito un serio pericolo per la sua incolumità, O.M. viene arrestato e collocato in una struttura di detenzione dove è stato trattenuto per 58 giorni e dove ha subito molestie a causa del suo orientamento sessuale. Nella sentenza sulla causa tra O.M. e Ungheria, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la detenzione di un richiedente asilo LGBT viola l’Articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ciò ha portato al termine della sua detenzione il 22 agosto 2014 e nell’ottobre dello stesso anno gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato[xii].

L’ILGA ha individuato le principali difficoltà in cui si imbatte un richiedente asilo LGBT al momento della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato:

  • Legislazione nazionale in materia di asilo che prevede protezione insufficiente o specifica per i richiedenti asilo LGBT, sebbene la legislazione europea e le risoluzioni siano state adottate negli ultimi anni;
  • Insufficiente rispetto per il diritto alla privacy e alla dignità umana nel valutare la domanda di asilo. Le autorità nazionali sono autorizzate a valutare la credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo, ma queste procedure di valutazione non dovrebbero violare i diritti alla dignità umana e della vita privata e familiare;
  • Scarsa o nulla considerazione dei tabù o della stigmatizzazione di cui i richiedenti asilo erano vittima nei loro paesi d’origine che potrebbe portarli a non rivelare il loro orientamento sessuale o identità di genere fin dall’inizio della procedura per la richiesta di asilo. Il fatto che i richiedenti rendano noto in ritardo tale informazione può portare al rifiuto della domanda sebbene la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che questo non può essere un motivo di rifiuto per una richiesta di status di rifugiato;
  • Poca o nulla informazione circa la legislazione del paese d’origine del richiedente asilo riguardo la persecuzione in base ad orientamento sessuale e identità di genere;
  • Mancanza di sensibilità e formazione da parte del personale addetto in materia di asilo che può portare ad un errore di valutazione circa la credibilità della domanda di status di rifugiato;
  • I richiedenti asilo LGBT possono incontrare alti gradi di discriminazione, tabù e violenza all’interno dei centri d’accoglienza per cui molto spesso necessitano di un’accoglienza particolare che non tutti i centri sono in grado di fornire.

Alla luce di quanto detto è possibile parlare di una vera e propria questione di rifugiati e immigrati LGBT che alle sofferenze derivanti dal dovere abbandonare i loro paesi d’origine a causa di guerre e legislazioni repressive, giungono in un’Europa che molto spesso è impreparata ad accoglierli. Tuttavia l’U.E. si è data da fare per correggere il tiro e aumentare gli standard di inclusività e sensibilità nelle procedure di richiesta d’asilo da parte di questi richiedenti attraverso l’adozione del Trattato di Lisbona nel 2013, documento che ha come oggetto specifico la questione dei richiedenti asilo LGBT.

Tirando le somme ci possiamo rendere conto di quanto, nel 2016, nonostante gli sforzi che quotidianamente si fanno, siamo ancora lontani dal rendere il mondo un luogo in cui tutti siano liberi ed eguali, in cui uomini, donne e bambini non devono fuggire dalle loro case perché minacciati da guerre e distruzioni, in cui un uomo o una donna non eterosessuali possano amare chi vogliono senza il rischio di essere perseguitati ed oppressi.

 

[i] http://islam.about.com/od/islamsays/a/homosexuality.htm

[ii] https://it.wikipedia.org/wiki/Omosessualit%C3%A0_e_islam#L.27omosessualit.C3.A0_nella_Shar.C4.AB.CA.BFa

[iii] https://www.thereligionofpeace.com/pages/quran/homosexuality.aspx ; la fonte della notizia è sul sito in lingua araba http://www.khabaronline.ir/detail/208221/culture/religion

[iv] http://www.thenewsminute.com/article/how-gay-imam-fighting-tolerance-homosexuality-islam-47004

[v]http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Omosessualit%C3%A0_e_islam&oldid=80729596

[vi] http://osservatorioiraq.it/punti-di-vistaquestione-di-generi/essere-omosessuali-egitto-prima-e?cookie-not-accepted=1

[vii] http://www.sdpnoticias.com/gay/2016/08/22/imploro-para-que-comunidad-gay-deje-de-ser-crucificada-principe-de-jordania

[viii] http://old.ilga.org/Statehomophobia/ILGA_WorldMap_2015_ENG.pdf

[ix] http://www.unhcr.org/statistics/unhcrstats/576408cd7/unhcr-global-trends-2015.html

[x] http://rapportoannuale.amnesty.it/2015-2016/aree/medio-oriente-e-africa-del-nord

[xi] http://www.ilga-europe.org/what-we-do/our-advocacy-work/asylum-europe

[xii] http://www.meltingpot.org/La-Corte-Europea-dei-Diritti-dell-Uomo-conferma-che-l.html#.V9lcnluLTcs