Imprenditoria LGBT negli USA: i dati dello studio di Start Out

Il mondo dell'imprenditoria non è immune dalla paura dell'omosessualità. A testimoniarlo sono i risultati di uno studio innovativo nel suo genere, che segna il primo passo verso un programma di ricerca volto ad ottenere un quadro completo dello stato dell’imprenditoria Lgbt negli Stati Uniti. La ricerca è stata condotta da Start Out, un’organizzazione non profit nazionale che si impegna nella promozione e nello sviluppo dell’imprenditoria Lgbt, considerata oggi ancora a rischio di discriminazione che si ripercuote sulle attività, le possibilità di raccogliere finanziamenti e l’opportunità di creare rapporti di fiducia con gli investitori. Condizioni queste che hanno spinto ad indagare per far luce sul fenomeno, con l’obiettivo di fornire un rapporto esaustivo sull’imprenditoria Lgbt statunitense e documentandone nello stesso tempo i contributi economici dei suoi imprenditori. 

È lo stesso Andres Wylder, direttore esecutivo di Start Out, ad affermare che l’uguaglianza economica è un passo fondamentale lungo il continuum del progresso delle persone Lgbt. Di certo bisogna tener conto del ruolo svolto dalle aziende, locali e multinazionali, che è determinante per l’introduzione e la difesa dei concetti di inclusione e diversità nei territori in cui esse operano.

Motivo per il quale lo studio ha selezionato un campione di 140 imprenditori lgbt nonché fondatori di imprese in forte crescita. Il 72% sono aziende con meno di 5 anni, mentre il restante 28% rappresenta imprese dai 5 ai 10 anni di attività. Degli imprenditori interrogati, il 14,2% è composto da immigrati, di cui il 45% proveniente dall’Asia o India e il 35% dai paesi dell’ Europa.

Sono principalmente impresari nel settore Internet \ media e software o imprese orientate al consumatore, ossia impegnanti nella produzione di mezzi e beni di consumo e nel settore del divertimento. Il campione in esame è territorialmente distribuito tra California (31%), San Francisco e New York con 26 aziende (29%), Illinois (11%), Texas (8%) e Massachusetts (7%). L’indagine è stata condotta utilizzando strumenti di natura sia quantitativa che qualitativa, quali sondaggi, interviste in profondità e l’utilizzo di fonti pubbliche di dati, attraverso i quali si è giunti alla costruzione di un profilo di crescita degli imprenditori Lgbt. Da evidenziare sono gli esiti rilevati rispetto alle motivazioni che hanno spinto loro a fondare un impresa. La maggior parte di essi, il 67% circa, affermano che la principale causa del lancio delle loro imprese è stata la passione per un ambito di attività. La seconda risposta invece più frequente (14%) è rappresentata dalla volontà di diventare capo di se stesso. Decidono di avviare le proprie imprese in luoghi considerati più aperti ed inclusivi verso la comunità Lgbt.

Motivo per i quale stati come l’Arizona, la Florida, Georgia, New Mexico, Tennessee aventi politiche ostili alla comunità Lgbt, hanno perso la maggior parte o tutti gli aspiranti imprenditori Lgbt, che hanno preferito trasferirsi prevalentemente in California, New York o Colorado. In tali paesi è stato riscontrato un impatto positivo in termini di creazione di lavoro, tanto che i dati suggeriscono che nel periodo compreso tra il 2005 e 2014 gli stati ostili alla popolazione Lgbt, hanno perso oltre un milione di posti di lavori in più rispetto ai paesi inclusivi in fatto di leggi anti-discriminazione, uguaglianza e relazioni comunitarie. Un'altra nota dissonante rintracciata dall’indagine è l’implicazione del genere: un concetto composito e non riconducibile ad un'unica dimensione, legato inestricabilmente al sesso, in quanto la costruzione stessa dell’identità di genere non può prescindere dalla sessualità che a sua volta presenta un articolazione interna tra l’aspetto biologico e quello delle preferenze o dell’orientamento delle pratiche sessuali. I dati dello studio suggeriscono che le imprese fondate da imprenditori di genere maschile sono quelle che raggiungono un fatturato superiore, ma il divario maggiore tra imprenditori maschili e femminili, si osserva in basa alla quantità di fondi raccolti da ciascuno, in quanto mentre gli uomini raccolgono oltre 125 milioni di dollari,  il 40% delle imprenditrici hanno ricevuto meno di 250mila dollari. Da ciò si desume che il genere aggiunge difficoltà nel settore dell’imprenditoria in generale.

Un ulteriore aspetto su cui si è concentrato lo studio americano è il coming out, ossia la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale. In genere gli imprenditori lgbt scelgono di fare coming out con gli investitori durante il processo di raccolta fondi e quindi nelle prime fasi di discussioni, ma non è sempre così facile. Infatti un significativo 37% degli imprenditori Lgbt interrogati decidono di non auto-identificarsi come membro della comunità Lgbt perché potrebbe danneggiare la loro possibilità di ottenere i finanziamenti, mentre per un ben 47% di essi non è rilevante farlo ai fini da raggiungere. Il 12% addirittura afferma di aver timore di urtare la sensibilità degli investitori. Ciò dimostra che fare coming out rimane una decisione difficile da prendere per molti, nonostante l’apertura sia un aspetto rilevante nella costruzione di un rapporto sano tra imprenditore e investitore, dato che l’autenticità aiuta a creare la fiducia che può rafforzare il rapporto commerciale. I giovani sembrano essere quello più restii ad auto identificarsi rispetto agli imprenditori più adulti. Infatti i dati suggeriscono che solo 5% dei giovani lgbt con un età compresa tra i 18 e 24 anni decidono di fare coming out, a differenza del 32% di persone lgbt con un età compresa tra 35 e 45 anni.

Forse un modo per ovviare alle difficoltà di dichiararsi durante la discussione è segnalare pubblicamente l’affiliazione al mondo Lgbt attraverso i social media, mostrando l’appartenenza ad enti ed organizzazioni tipicamente Lgbt, consapevoli che gli investitori utilizzano anche tali canali come preliminare fonte di informazioni. Ma tale resistenza e difficoltà è certamente legata alle discriminazioni e alle molestie che gli Lgbt sono costretti a subire nell’ambiente di lavoro a causa del proprio orientamento sessuale.Ci consegna quindi l’idea di un mercato del lavoro che ancora non riesce ad includere e valorizzare le differenze di cui i lavoratori possono essere portatori. Per cui è tempo di pensare alla comunità Lgbt sulla base di politiche più inclusive, di cui gli stessi responsabili politici dovrebbero preoccuparsi nel creare ambienti lavorativi gay- friendly. In caso contrario, stanno essi stessi spingendo fuori un segmento attivo di creatori di posti di lavoro, danneggiando le loro economie locali. Lo stesso accade anche in Italia, dove manca il rispetto dell’individualità e il riconoscimento della ricchezza nella diversità e nella quale la normativa lavoristica in materia Lgbt è contenuta nel d.lgs. n. 216 del 2003, che stabilisce un quadro generale in materia di pari occupazione e condizioni di lavoro. Si tratta, però di una normativa che ha più ombre e lacune che non profili di adeguata regolamentazione in materia. È innanzitutto un intervento di carattere generale che guarda alle discriminazioni fondante sulla religione, gli handicap, l’età o l’orientamento sessuale. Di conseguenza si presentano problemi di efficacia se le tecniche adottate non vengono adeguate alle singole specificità, ma rivolte indistintamente a tutti.

Ma soprattutto il decreto menziona solo l’orientamento sessuale, che corrisponde all’ avere un desiderio sessuale eterosessuale verso individui del sesso opposto o dello stesso sesso, non tenendo conto dell’identità di genere, ossia il comportarsi da uomo o da donna e seguire i modelli di aspettative istituzionalizzati per l’uno e per l’altra e quindi tagliando fuori questa categoria di fattori di rischio. Sono necessari interventi che portino al pieno rispetto del principio di uguaglianza e alla tutela della dignità delle persone appartenenti alla comunità Lgbt. È importante che si diffonda ancora di più una cultura della diversità anche attraverso policy di gestione delle risorse che siano inclusive. Queste, se ben applicate, possono migliorare di fatto la quotidiana produttività delle imprese, portando a sensibili e positivi impatti sia dal punto di vista del rendimento che della redditività e quindi sull’andamento del mercato in generale.

 

La versione integrale del rapporto di ricerca è scaricabile al seguente sito:  https://startout.org/news/new-study-sheds-light-on-state-of-lgbt-entrepreneurs-in-the-u-s/