Hiv e discrminazioni sul lavoro. Oltre i confini del pregiudizio

Martedì 1 Dicembre 2015 ricorre la giornata mondiale contro l’Aids. Questo breve articolo è dedicato alla delicata e spinosa questione relativa al virus dell’HIV e alle questioni relative alla discriminazione  nell’ambito lavorativo.

La storia dell’omosessualità è stata contrassegnata dal periodo dell'Aids, quando la malattia veniva definita dalla stampa “la peste dei gay”, basata sulla presunta correlazione tra sessualità omosessuale e comportamento promiscuo. Visione basata sul pregiudizio che gli omosessuali conducessero, a differenza degli eterosessuali, una vita sessuale senza regole, all’insegna di partner occasionali e dalla mancanza di protezione. Tra le malattie sessualmente trasmissibili non rientra solo quella causata dall’HIV (Human Immunodeficiency Virus) - virus che può condurre all’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), malattia caratterizzata dalla comparsa di infezioni nel momento in cui il sistema immunitario è totalmente danneggiato dal virus HIV da non riuscire più a respingerlo – ma anche la candidosi, la clamidia, i condilomi, le epatiti, la gardnerella, la gonorrea, l’herpes simplex, i pidocchi del pube, la scabbia, la sifilide, la trichonomas e l’uretrite no gonococcica e non specifica.

L’attenzione sull'Aids è giustificata per il fatto che è ancora una malattia mortale, non esistono cure definitive che portino alla sieroconversione dei pazienti infetti dal virus Hiv ma se diagnosticata presto è possibile cronicizzarla. Le persone sieropositive gay o transessuali sono spesso soggette a discriminazioni multiple, destinatarie di almeno due tipi di discriminazione: il primo riferito alla condizione di salute, il secondo, alla discriminazione imputabile all'orientamento sessuale o identità di genere. Il secondo motivo rimanda a motivi socio-culturali, e quindi alla creazione dello stereotipo per cui le persone omosessuali sono tendenzialmente sieropositive e quindi vengono legittimate azioni discriminatorie, tra le quali la negazione della possibilità di donare il sangue. Negli Stati Uniti, nel 1983 venne emanato un divieto per la donazione del sangue da parte di omosessuali maschi, a causa della diffusione sempre più capillare del virus HIV; questo divieto è stato eliminato solo nel 2009. La situazione in Italia non appare diversa: anche nel nostro Paese, nel 1991, fu emanato un divieto, attraverso un decreto del Ministero della salute, per la donazione di sangue delle persone omosessuali. In seguito il D.M del 26 gennaio 2001, ne ha modificato le regole del precedente, imponendo che ad essere presi in considerazione debbano essere i comportamenti sessuali ad alto rischio - “alto rischio di acquisire malattie virali severe che possano essere trasmesse per via sanguigna” - e non le categorie a rischio come era avvenuto fino a quel momento. Motivo di esclusione e di discriminazione può essere infine riferito all’efficacia e alla reale inclusione dei diversi soggetti nelle campagne di prevenzione e nelle campagne informative, le quali dovrebbero rappresentare il punto fondamentale delle politiche sanitarie. Come spesso accade, il livello di informazione (sia in termini di prevenzione, che sul luogo in cui è possibile effettuare il test, che sul contagio del virus stesso) risulta essere molto basso, andando quindi di conseguenza a influire sullo stato di salute di queste persone.

Come si legge sul sito dell’LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids - il presidente Massimo Oldrini, in vista del 1° maggio, la giornata internazionale del lavoro, ha affermato: "Stiamo ricevendo molte richieste di aiuto di lavoratori e lavoratrici con HIV terrorizzati di restare disoccupati da un giorno all'altro a causa dell'ignoranza e dello stigma ancora oggi molto radicati, richieste di test negativi, demansionamento o anche peggio qualora un lavoratore comunichi la propria positività all'HIV al datore di lavoro pubblico o privato e questa situazione di crisi e precarietà sul lavoro certo non aiuta".

In ambito lavorativo è bene fare una serie di chiarimenti: per prima cosa il datore di lavoro non può imporre, né tantomeno richiedere l’effettuazione del test sull’HIV. La legge 135/1990 (art. 6 comma 1) proibisce espressamente che tutti i datori di lavoro possano indagare sull’eventuale sieropositività, sia dei dipendenti che dei candidati per un’eventuale assunzione. Per quanto riguarda invece la tutela di lavoratori sieropositivi, la legge 135/1990 (art.5 comma 5), che sancisce che l’essere sieropositivi non può in nessun caso rappresentare per un lavoratore un motivo di discriminazione, sia all’ingresso nel mercato del lavoro, sia nel mantenimento del posto di lavoro stesso. Il medico, allo stesso modo, non potrà rivelare al datore di lavoro la diagnosi del proprio paziente per spiegare l’assenza dal posto di lavoro, potrà solamente indicare la durata presunta della malattia e delle indicazioni su ciò che il lavoratore può e non può svolgere. Il licenziamento dovuto a lunghi periodi di malattia può essere inserito solo nel quadro del contratto nazionale di lavoro, che prevede “periodi di comporto”, ossia periodi massimi di malattia di cui un lavoratore può godere. Se il licenziamento non segue tali “peridi di comporto”, e quindi sia il risultato di un’evidente discriminazione, è opportuno attivarsi a livello sindacale o legale.